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Franco Nones, nato il primo febbraio del 1941, è il terzo di otto fratelli. All’oratorio, ai tempi,si giocava e si litigava, le solite beghe fra coppisti e bartaliani, di sci si parlava poco: l’Italia aveva un grandissimo campione, Zeno Colò, ma a Castello di Fiemme non si sapeva come era fatta una seggiovia o una funivia. Chi voleva un paio di sci, chi voleva sciare non aveva alternative: salita, pianura, discesa, la pista da battere, la neve incollata sotto i legni spalmati con la candela o con la cera delle api, le scarpe bagnate fradice, i piedi gelati, le gran fatiche, le prime sfide fra amici, le prime vittorie, le prime sconfitte, tutto questo era fondo.


Sci per neve farinosa e sci per neve ghiacciata, solette di plastica, bombole, cavalletti per sciolinare o paraffinare, tute e guanti traforati non erano nemmeno entrati nella fantascienza del fondo quando Franco Nones (inverno 1954-55) si iscrisse alla prima società sportiva cresciuta ovviamente all’ombra dell’oratorio, il punto di ritrovo per tutti i ragazzi che volevano correre in bicicletta o con gli sci, giocare a ping-pong o a calcetto. Era l’Unione Sportiva San Giorgio, il santo protettore di Castello di Fiemme.


Sci d’inverno e ciclismo d’estate, ecco la duplice attività agonistica di Franco Nones quando a sedici anni entrò nella categoria «juniores». I suoi compagni di gara e d’allenamento da dicembre a marzo erano Scandola, Mosele, Fattor, Faccin, Della Sega, Vuerich e Giulio De Florian. Qualcuno di loro diventerà famoso. A impostarli tecnicamente ci pensò Ardicio Pezzo, un ex maresciallo della Guardia di Finanza, allenatore del comitato trentino.
Piccolo, grintoso, tarchiato, Franco Nones sfruttò la sua potenza atletica spingendo sui pedali da aprile a settembre anche se sapeva che non avrebbe sfondato nel mondo del ciclismo dove non basta la classe individuale per emergere.


Lui correva con gli allievi, andò a vincere un circuito a Preore in Val Rendena e partecipò al campionato nazionale con le speranze del ciclismo italiano, con Gimondi, Motta, Dancelli e Zandegù, con gente che avrebbe recitato ruoli di primo piano ai giri d’Italia e di Francia, ai campionati del mondo e alle classiche internazionali negli anni Sessanta.


Gimondi, Motta, Dancelli e Zandegù in prima pagina. E Franco Nones? La parentesi ciclistica si era chiusa dopo due anni. Nello sci, anche nel tanto bistrattato sci di fondo, non si poteva emergere senza un’organizzazione alle spalle, senza un sussidio, senza la possibilità di potersi allenare praticamente a tempo pieno: anche a Franco Nones, come a Giulio De Florian, vennero aperte le porte della scuola alpina più vicina a casa, la prestigiosa scuola alpina delle Fiamme Gialle di Predazzo. A 19 anni vestì i panni del finanziere 19 anni arrivò primo a Cervinia al campionato nazionale del centro sportivo italiano, a 19 anni centrò importanti traguardi sulle nevi italiane e straniere, il più importante fra tutti la coppa Kurikkala. Nell’albo d’oro della Kurikkala il nome del campione di Castello di Fiemme figura per due anni consecutivi: due successi individuali, altri quattro in staffetta.


Ormai erano andati in pensione Federico De Florian e Ottavio Compagnoni, la stella del vecchio pusterese Giuseppe Steiner era sul viale del tramonto: Franco Nones era uno degli alfieri della nuova generazione, era uno degli atleti che avrebbe scritto importanti pagine di sport nella storia del fondo insieme a Marcello De Dorigo, lo sfortunato protagonista di un’avventura drammatica e allucinante sulle nevi scandinave, insieme a Giulio De Florian, a Franco Manfroi, a Gianfranco Stella, suoi compagni di staffetta in maglia azzurra.


Nones, De Dorigo, De Florian: le tre fiamme gialle conquistarono il titolo italiano di staffetta nel ‘62. Fu il primo di una lunga serie di scudetti. Per tre anni consecutivi Franco Nones fu l’incontrastato re del fondo agli assoluti, dominò sia la quindici sia la trenta chilometri mentre nella staffetta a De Dorigo era subentrato Piller.


L’esordio ai giochi olimpici di lnnsbruck fu un dignitoso biglietto da visita: decimo assoluto a una manciata di secondi dalla zona medaglia. Il dominatore, Eero Maentyranta, medaglia d’oro nella 1 5 e nella 30 chilometri e medaglia d’argento nella staffetta, sarà un costante punto di riferimento per Nones, non diventerà mai un mito ma il campione che si può battere.


Da Holmenkollen a Rovaniemi, dalla Norvegia alla Svezia i fondisti erano centinaia di migliaia, in Italia poche centinaia. Ma la squadra azzurra era una grossa realtà in campo internazionale: non fu un caso se proprio ad Holmenkollen, uno dei templi sacri del fondo, Giulio De Florian, Franco Nones, Gianfranco Stella e Franco Manfroi conquistarono la medaglia di bronzo ai campionati del mondo del 1966. Avevano vinto i finlandesi ma gli azzurri si erano lasciati alle spalle gli svedesi, i tedeschi orientali e tutti i centro-europei. Franco Nones concluse con un eccezionale sesto posto la trenta chilometri. Primo arrivò, anche quel giorno, il finnico Maentyranta.


Un giornale svedese senza riferirsi ai successi di Franco Nones nella coppa o alle vittorie degli altri azzurri sulle piste di casa nostra, titolò nel gennaio del ‘68, un mese prima dei giochi olimpici: «Scoppia la bomba italiana».


E la bomba scoppiò con immane fragore a Grenoble: un’esplosione di gioia per gli sportivi italiani colti di sorpresa dall'incredibile trionfo di Franco Nones.Dopo appena sei chilometri Franco Nones aveva già lasciato alle spalle Eggen partito trenta secondi prima e aveva superato anche Larsson, uno dei mostri scandinavi partito un minuto prima. Ed Eero Maentyranta, l’indomabile finnico Maentyranta? Al decimo chilometro Nones aveva trenta secondi di vantaggio, al ventesimo chilometro solo quattro secondi, quindi il norvegese Martinsen, una lotta sul filo dei secondi o dei decimi di secondo. Il trionfatore delle Olimpiadi di lnnsbruck e dei mondiali di Oslo stava pagando alla distanza lo sforzo per ridurre il distacco da quel piccolo italiano che non perdeva un solo colpo sulle rampe dell’anello di Autrans. Eero Maentyranta in debito di ossigeno rotolava a oltre un minuto dal leader della corsa e lasciava la medaglia d’argento a Grenningen: norvegesi, finlandesi e svedesi ormai si erano arresi, avevano alzato per la prima volta bandiera bianca nella storia della trenta chilometri alle olimpiadi.


Il vincitore, il trionfatore, era proprio lui, l’italiano Franco Nones.


Quando vinse la medaglia d'oro a Grenoble tutti caddero dalle nuvole, fu una sorpresa generale, la stampa nostrana parlò di Davide che aveva nuovamente abbattuto Golia. Un colpo di fortuna? Non esistono le gare dei miracoli, trenta chilometri sono trenta chilometri, uno sforzo massacrante di un’ora e mezza o poco meno, nessuno ti aiuta, sei solo contro il tempo e contro gli avversari, devi essere all’apice della forma atletica, al massimo della concentrazione, una curva sbagliata, una caduta manda all’aria mesi di allenamenti, anni di sacrifici e di rinunce.


Un miracolo all’italiana? Forse chi non aveva mai masticato fondo ebbe questa impressione. La vittoria di Nones alle Olimpiadi sorprese la stampa italiana, digiuna di sci nordico, non la stampa scandinava che ancora un mese prima delle olimpiadi lo indicava tra i favoriti, per gli attenti critici di Stoccolma e di Oslo era la prevedibile conclusione di un ciclo di successi azzurri. Sull’oro di Grenoble, Franco Nones ha costruito la sua popolarità e le sue fortune non cullandosi sugli allori come altri campioni ma investendo e rischiando come un manager moderno.


A trent’anni o poco meno
Federico De Florian era entrato in squadra e affrontava le prime trasferte in Lapponia, a trent’anni Franco Nones aveva praticamente chiuso con il fondo a livello agonistico: la medaglia d’oro alle Olimpiadi, la medaglia di bronzo in staffetta ai mondiali di Oslo deI ‘66, tante altre vittorie al Nord e ben quindici titoli italiani avevano arricchito il suo palmarés ma anche nell’inverno del ‘71 l’indomito leone di Castello di Fiemme piazzò la sua stoccata e vinse la 15 agli assoluti, la gara degli sprinters, era il sedicesimo scudetto tricolore.


A Sapporo, alla terza Olimpiade, Franco Nones partecipò con spirito decoubertiniano, andò in Giappone ad ammainare la bandiera, la sua bandiera ricca di medaglie.

 

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Nones Franco, il primo Olimpionico

 

Quella del 6 febbraio 1968 è una data storica per il nostro fondo: per la prima volta sul più alto gradino del podio olimpico sale un italiano, Franco Nones. Ha appena compiuto 27 anni ed aveva già conquistato la medaglia di bronzo con la staffetta due anni prima, ai Mondiali di Oslo. Terzo di otto fratelli, è nato a Castello di Fiemme (Trento) il 1° febbraio 1941. Ha cominciato a praticare il fondo attorno ai 13 anni e vi si è dedicato completamente, dopo una breve parentesi ciclistica, quando nel 1960 si è arruolato nella Guardia di Finanza vincendo subito, con le Fiamme Gialle, il titolo italiano di staffetta. Dal 1961 inizia quella escalation che, nel giro di una dozzina d'anni, gli avrebbe assicurato 16 titoli italiani assoluti (10 individuali e 6 di staffetta con le Fiamme Gialle), tre Coppe Consiglio della Valle d'Aosta, due successi individuali nella Coppa Kurikkala e quattro vittorie in staffetta nella stessa manifestazione. Per quanto riguarda i titoli assoluti ha vinto per 5 volte il titolo della 15 km (1964/1965/1966/1970/1971), 4 volte quello della 30 km (1964/1965/1966/1970) e una volta, nel 1967, la 50 km.

Dopo il 10° posto nella 15 km delle Olimpiadi di Innsbruck (foto a destra), cominciano le vittorie al Nord: a Faker e ad Aelvdalen in Svezia, dove si lascia alle spalle gente del calibro di Asph e Groenningen, medaglie d'oro olimpiche, e con loro tutti i grossi nomi di allora, Sixten Jernberg compreso. Quindi, negli anni successivi, altre due vittorie a Faker, due a Kuopio, una a Rovaniemi, un terzo posto a Lahti, un quarto nella 50 km di Holmenkollen. Ai Mondiali di Oslo, nel 1966, è sesto nella 30 km e medaglia di bronzo nella staffetta, corsa con Gianfranco Stella, Giulio De Florian e Franco Manfroi.

Era dunque uno sconosciuto solo per il grosso pubblico, ma anche per la maggior parte dei giornalisti, quello che si presentava alle Olimpiadi di  Grenoble; solo Rolly Marchi, dopo la sua prima vittoria in Scandinavia, in un articolo sul "Giorno", fra l'incredulità generale, profetizzò che quell' italiano piccoletto avrebbe vinto un giorno la medaglia olimpica. I nordici, del resto, da lui battuti in più di un'occasione, lo consideravano uno di loro, anche perché Nones, della squadra italiana, era stato quello che meglio si era adattato ai costumi, alle abitudini e al vitto locale. Se la cavava bene con le lingua e questo lo avrebbe facilitato in seguito nelle trattative commerciali una volta avviata l'attività di importatore con il determinante aiuto della moglie svedese Inger. Sci e materiali Karhu, la ditta finlandese che gli aveva dato subito fiducia. 

Fu un trionfo quello delle Olimpiadi perché raramente una gara di fondo che si svolga in condizioni ambientali "normali", con la presenza dei più grandi campioni, si è conclusa con distacchi tanto pesanti, e perché per la prima volta un atleta "continentale" vinceva una medaglia d'oro nel fondo. Un’impresa che ha segnato la fine di un'era, quella del dominio assoluto degli scandinavi e dei sovietici in questa disciplina sportiva.

E' una gara che Franco Nones ha ancora impressa nella mente e negli occhi, a tanti anni di distanza, come se si fosse disputata ieri. Racconta nel libro Sci di fondo, scritto con Giorgio Brusadelli ed edito da Mondatori nel 1977: "Su un percorso duro, abbastanza tecnico, e con una neve fredda proprio come piace a me, ho sentito di essere in gran forma, di trovarmi in una di quelle giornate in cui hai la certezza assoluta di poter fare grandi cose. Per questo sono partito subito al massimo dell'andatura. Davanti a me avevo Eggen a 30" e Larsson ad un minuto. Due medaglie d'oro. Eggen l'ho raggiunto quasi subito, Larsson dopo 6 km, vicino alla postazione in cui si trovava B.H. Nilsson, l'allenatore della nostra squadra. Vedendomi davanti a quei due, Nilsson è rimasto un attimo sorpreso. Non credeva all'ordine di partenza che teneva in mano e pensava di aver sbagliato a rilevare i tempi. Un controllo più attento gli ha però permesso di accertare che stavo andando veramente forte, impressione suffragata dai distacchi che stavano accumulando le successive teste di serie. Allora mi ha seguito, tagliando il percorso e ha cominciato ad incitarmi nel suo italiano stentato ma efficace: "Franco, tu primo, tu andare, forza Italia, forza Italia!"

Così per tutta la gara, ad ogni postazione dove c'erano gli accompagnatori e le riserve della squadra azzurra, collegati via radio con Nilsson. Al km 10 avevo 30" su Maentyranta, 34 su Martinsen; dopo 20 km Maentyranta mi era arrivato a 4", mentre Martinsen restava più o meno alla stessa distanza. Stavo bene e non avevo paura di scoppiare: sentivo che, continuando così, non era possibile che Maentyranta potesse mantenere quell'andatura pazzesca, ancor più esasperata per lui che correva in rimonta. E infatti è andata come pensavo: a 6 km dall'arrivo Maentyranta ha cominciato a perdere colpi e ha finito staccato di 1'17". Un abisso se si considera la breve distanza che restava ancora da percorrere. Dal modo in cui andavo io era umanamente impossibile che il finlandese riuscisse a recuperare altro tempo e a sorpassarmi, dopo lo sforzo fatto fra il 10° e il 20° km".

Grenoble rappresentò il vertice della parabola della carriera di Nones. Vinse ancora, ma dopo la medaglia olimpica gli mancarono in parte quelle motivazioni che fino ad allora erano state alla base della sua preparazione. Continuò a fare l'atleta, ma cominciò nel contempo l'attività di importatore. Non avrebbe voluto partecipare alle Olimpiadi di Sapporo; intendeva ritirarsi già l'anno precedente. Con quella tracheite, rimediata subito dopo la 30 km di Grenoble, incurabile per un atleta che è costretto a gareggiare con temperature rigide ed esposto a tutte le intemperie, non era più in grado di esprimersi ai massimi livelli richiesti da un'Olimpiade, anche se riuscì a vincere altri titoli italiani. Furono proprio questi ultimi successi e le insistenze dei responsabili della Finanza e della Nazionale a indurlo a salire sull'aereo per quei Giochi che si conclusero in maniera disastrosa per lui e per la squadra.

Ritiratosi dallo sport attivo, Nones, maresciallo della Finanza, fu per un certo tempo commissario tecnico del fondo del Comitato Trentino. Poi allargò la sua attività di importatore fino a diventare il più rappresentativo fra quanti trattano materiali di fondo. Con la Karhu aveva iniziato a lavorare già nel 1965, dopo le vittorie di Kuopio e Rovaniemi. Non lo pagavano in denaro, ma in materiali: 200 paia di sci, scarpe, attacchi e bastoncini. Li teneva nel garage sottocasa che, in pratica, è stato il suo primo negozio. L’attività di importatore è iniziata nel 1970, con la moglie Inger. Un matrimonio fortunato, allietato da 4 figli e da due nipoti. Al ruolo di mamma (e ora anche di nonna) Inger ha sempre affiancato  la cura della parte amministrativa del negozio Nones Sport; con loro anche la sorella di Franco, che si occupa del magazzino. Sempre materiali Karhu ai quali, da qualche anno, ha affiancato una linea con il proprio nome, che comprende biciclette, abbigliamento per il ciclismo e per il fondo, e sci da fondo e da fuori pista.

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